Biografia

Fulvio Vanacore

Nato a Sorrento (NA) il 2 dicembre 1969, vive e lavora tra Milano e Sorrento.
La sua passione per la storia dell’arte lo porta all’approfondimento teorico e pratico fin da giovane. Dal 2009 frequenta a Milano l’Art Factory di Davide Foschi.
Nel 2013 è uno dei primi firmatari del Manifesto del Movimento del Metateismo.
Insieme al maestro Davide Foschi, è uno dei soci fondatori del Centro Leonardo da Vinci a Milano.
Le sue opere sono pubblicate nel Catalogo “Davide Foschi-Metateismo”, nel Catalogo del Festival del Rinascimento e nel Catalogo d’Arte Moderna 2017.

Mostre
– “L’Avanguardia del Movimento 2012-2015” al Museo d’Arte e Scienza di Milano, al Centro Leonardo da Vinci, alla Biennale d’Arte Contemporanea di Massa e Montignoso.
– Partecipazione all’esposizione di artisti metateisti all’evento “L’Arte dice NO” del 27 Ottobre 2013 al Palazzo Congressi di Milano
– Il Metateismo a Pizzo Calabro – 2014
– Partecipazione all’esposizione di artisti metateisti all’evento “Street-Food” Novegro (MI) – 2014
– Partecipazione al primo Convegno Nazionale del Metateismo – 2014
– Partecipazione al “Festival del Nuovo Rinascimento” che si svolge nella seicentesca Villa Bottini a Lucca – 2017

MetaPortrait

Avanguardia del Metateismo e visioni d’arte

Personale di VANA


Testo critico

Sempre oltre: l’arte metateista di Fulvio Vanacore

L’esigenza dell’oltrepassamento rappresenta una tensione fondamentale dell’uomo, volta al perfezionamento di sé ed alla scoperta delle infinite possibilità del mondo della vita – la Lebenswelt, per dirla con il linguaggio della fenomenologia tedesca. Tale istinto ha tuttavia trovato una indubbiamente peculiare concrezione formale all’interno della civiltà europea, dove la tensione già ulissiaca all’inesausta ricerca dell’Altrove anima da millenni la morfologia della nostra tradizione. L’oltrepassamento è un gesto di agnizione del nostro sé più intimo, che abita le profondità dell’essere senza mai potersi totalmente afferrare, proprio perché sempre oltre. Ultra, in latino, meta, in greco. Ecco perché tante avanguardie rievocano nella loro stessa poetica tale densità simbolica: il futurismo marinettiano, l’ultraismo spagnolo, la metafisica dechirichiana… più recentemente, il metateismo di Davide Foschi, che proprio in Vanacore ha uno dei suoi più brillanti esponenti. Oltre le conoscenze stantie, le tecniche artistiche abusate, le scissioni riduzioniste, il metateismo propone il dialogo delle discipline umanistiche e scientifiche in una tensione energetica in cui gli opposti non sfumano in una sintesi irenica e utopistica, piuttosto si potenziano in un contrasto dinamico creativo e vitale, volto alla mitopoiesi della bellezza. Vanacore declina l’intuizione metateista in una ricerca estetica trasversale e multiforme: nella sua produzione si alternano tele figurative e astratte, in tutte il tratto audace dell’artista trasfigura la realtà in figure e paesaggi interiori. Particolarmente rilevante è la serie “Metaportrait”, dove la ritrattistica – di uomini e paesaggi –, mediante la potenza del digitale, altera la realtà per integrarla in una meta-realtà, preludio estetico di un metaverso umanisticamente concepito.
Positano, sotto l’incalzante energia dinamica dell’artista, è di notte una pulsazione luminosa in un caos abissale. Aveva ragione il grande musicista Leonard Cohen: «There is a crack in everything / That’s how the light gets in».

Luca Siniscalco

Opera rappresentativa

Fulvio Vanacore

Metaportrait Positano

Tecnica mista

80 x 60 cm

Intervista

– Decolliamo volando dritti al punto: cos’è l’arte per te e quando è scoccata la scintilla per intraprendere il tuo cammino artistico?

L’arte per me è il grado zero del tutto, l’apparente nulla dove tutto proviene e dove tutto precipita, un punto di accumulazione dove nulla e tutto copulano e scompigliano i loro corpi e la loro natura in uno spazio-tempo nel quale equazioni, linguaggi, logica e fede sono stiracchiati, spappolati e impastati.

Nello sguardo cartesiano, sintesi di algebra e geometria, l’arte è l’origine e la fine di ogni infinito, lo zero che tutto annulla o che tutto amplifica.
Lo Zero è dunque, il seme dell’infinito e al tempo stesso il suo collasso, il punto di nascita, morte e rinnovamento di ogni cosa, è dove la parola si fa silenzio e dove il silenzio si fa parola, un nuovo ed impronunciabile tutto che tiene insieme l’esistente ed il nulla, l’infinitesimale perimetro dell’infinito stesso in risonanza tra la massima e la minima estensione, il battito di ogni logica e di ogni fede, il “religio” ovvero il “legame”, tra due apparenti opposti.

L’arte per me è l’apparente paradosso che fa dell’infinitesimo e dell’infinito la stessa entità, dove l’informazione, in ogni sua declinazione, si rimescola nella forma e nei colori per collassare il tutto nel nulla con un rimbalzo in un nuovo tutto. In questa sua dinamica, l’arte essendo una generazione continua di informazioni, rappresenta un movimento continuo di emersione del significato dal significante, una fuga dell’anima da un corpo materiale e statico e che per tale ragione, portandosi fuori è l’“ex-sistere”, lo stare fuori. Dunque, l’arte è esistenza, il resto è pura materia inorganica che giace per la proliferazione del senso e la sua fuga.

La scintilla è un fuoco che ti batte dentro, è Big bang, non è centrale, né in un punto particolare, è ovunque sebbene non ne sia l’origine. Non puoi sottrarti in alcun modo.

– Se tu potessi andare a cena con un grande artista passato alla storia, chi immagini al tavolo con te? Siamo curiosi, raccontaci! Di cosa parleresti? Che cosa ti piacerebbe chiedergli?

Riprendendo le parole del poeta:
“Il tempo presente e il tempo passato
Son forse presenti entrambi nel tempo futuro,
E il tempo futuro è contenuto nel tempo passato.
Se tutto il tempo è eternamente presente
Tutto il tempo è irredimibile…
Ciò che poteva essere e ciò che è stato
Tendono a un solo fine, che è sempre presente”.

Vorrei dunque che al mio tavolo ci fosse Ali Van de Gritte, grande maestro del tardo quarantasettesimo secolo. Fondatore dell’ultimo cromatismo astratto e del primo cromatismo figurato, nonché insigne maestro del “color durites colorium”.
“La forma è per il colore ciò che è la morte per la specie” il suo più grande capolavoro.

Di cosa parleremmo? Della teoria delle stringhe e della sua incapacità, dopo oltre 2500 anni, di arrivare a una sintesi irenica tra la fisica teorica e la fisica sperimentale.
Gli chiederei: “Cosa ne pensi del Metateismo e perché credi sia così importante nella storia dell’arte?”.

– Fai parte del Nuovo Rinascimento e di un’Associazione come “Verso un Nuovo Rinascimento APS” che ha a cuore la diffusione della Bellezza nella nostra società contemporanea, in tutti i settori. Che ruolo ha per te la Bellezza? Diceva Dostoevskij che la Bellezza salverà il mondo, tu cosa ne pensi?

Spesso ricorriamo, consapevoli o non, ad affermazioni inutili quanto necessarie. Mi sento il Principe, se dopo tanti anni da quella lettura, ancor mi domando: “Quale bellezza salverà il mondo?”. Se l’idiota di Dostoevskij sembra rilevarsi incapace di dare una risposta, noi non ci facciamo sfuggire l’occasione per essere artefici di fragili equivoci, preferendo a ironiche domande, compiacenti e lapidarie affermazioni.

Quale bellezza salverà il mondo? Quella che ha che fare con la forma perfetta e armoniosa, fondamento principe dell’ideale d’arte nella tradizione dell’umanesimo occidentale? Quella dell’icona spirituale a cui in tanti sembrano, talvolta, richiamarsi? O piuttosto all’ineluttabile manifestarsi del bene, inteso dell’uomo veramente buono, che sfida come un moderno Chisciotte la potenza del male ?
Un vero artista non offre risposte, si limita soltanto ad abbozzare le giuste domande: “La bellezza salverà il mondo?”.

– A Milano abbiamo aperto il nuovissimo Centro Leonardo da Vinci Art Expo, centro artistico-culturale di via Carlo Torre 24 dedicato alla Genialità; qual è la tua visione della genialità? Ti è mai capitato di pensare od esclamare la frase, rivolta a te stesso o a qualcun altro: “Sei un genio!”. Descrivi, se ti ricordi, la situazione.

La mia visione della genialità è città. Ho vissuto sin da bambino la genialità di Partenope, oculus mundi, occhio del mondo e sul mondo, che, come suggerisce il regista nel parafrasare il principe: “Non dimentica di cercare chi è in grado di fare una sonora pernacchia al tracotante di turno”.

Il genio osserva, guarda, tocca, struscia, palpeggia, spernacchia, sovente scorreggia, ma non ascolta. Il genio è sordo, sazio da non credere al digiuno. Il genio non arriva dall’anima, arriva dalla panza. Ad ogni Pereto un lampo di genio.
Sul trono di casa mia, talvolta mi sento un genio!

– Una delle prerogative del nostro appuntamento annuale, il “Festival del Nuovo Rinascimento” è quella di unire mondi in apparenza diversi, come l’Arte e l’Economia, la Cultura classica e quella scientifica: tu, da artista, cosa ne pensi?

Penso che non possa esserci prerogativa migliore. L’arte, l’economia, la cultura classica, quella scientifica, nascono tutte dallo stesso capriccio, il tentativo di rispondere a un desiderio destinato a rimanere vano, incompiuto, senza risposta. Ogni disciplina umana è un piccolo passo nel vicolo cieco che ci porta alla scoperta dei riflessi dell’unica opera rivoluzionaria che abbia un senso, la meditazione su noi stessi. Ciò che appare diverso, è solo l’ombra proiettata dallo sguardo disorientato che tutti noi abbiamo di fronte all’ignoto, compagno insaziabile nel nostro cammino nella ricerca del bello.

– Atterriamo con gusto: sei a cena e dal tavolo puoi ammirare una serie di opere d’arte accompagnate anche da un perfetto sottofondo musicale: raccontaci il tuo menù ideale, dall’antipasto al dolce, vini inclusi. Orsù siamo in Italia!!

Il mio menù ideale è composto dalle seguenti 12 portate:
Prima portata: Finzioni (J.L. Borges)
Seconda portata: Sexus (H. Miller)
Terza portata: Le città invisibili (I. Calvino)
Quarta portata: Aspettando Godot (S. Beckett)
Quinta portata: I sette messaggeri (D. Buzzati)
Sesta portata: Pitagora (U. Eco)
Ottava portata: Alla ricerca del tempo perduto (M. Proust)
Nona portata: Un Hugo geometra (R. Queneau)
Decima portata: L’Idiota (F. Dostoevskij)
Undicesima portata: Punto, linea, superficie (V. Kandinskij)
Dodicesima portata: Il dono (V. Nabokov)

Non vorrei tediarvi oltremodo, pertanto, facendo mia la massima di Totò “Ogni limite ha una pazienza”, vi parlerò soltanto della prima portata, Finzioni, il cui nome è un semplice omaggio al mirabile scritto di Borges.

Il piatto è composto da asparagi bianchi fermentati, carpaccio di seppia marinata in miso bianco e yuzu. Gli sparagi e le seppie alternandosi freneticamente in un piatto di pietra bianca a mano levigata, disegnano in maniera netta l’immagine di un terreno ispido. La composizione visiva è ispirata ai quadri di Malevi?, Burri e Manzoni.

Finzioni è accompagnato da un calice di Dry Martini, realizzato con Gin Giniu, Vermouth bianco francese, succo di limone e pepe nero di Sichuan.
Chi volesse conoscere le altre portate dovrà, quando vorrò, invitarmi a cena.

– Ora che ci salutiamo lascia che il pubblico che ti legge si ricordi di te anche attraverso un tuo pensiero sintetico. La tua frase è:

“La finzione non è sempre come ci appare, figuriamoci la realtà!”.