Personale di VANA
METAPORTRAIT
Avanguardia del Metateismo e visioni d’arte
L’arte del ritratto ha una lunga storia nella tradizione culturale europea. La rappresentazione artistica dell’individuo ne è certamente uno dei soggetti artistici più rilevanti. Se nelle civiltà antiche i ritratti erano perlopiù associati a una dimensione simbolica, tipologica e metafisica, con l’arte moderna occidentale il ritratto assume una veste perlopiù mimetica, naturalista e realista: l’autore cerca di documentare l’incedere della storia mediante la raffigurazione degli uomini che l’hanno costruita. L’antropocentrismo, il razionalismo e lo storicismo definiscono una nuova idea di essere umano. Una concezione che le avanguardie primo novecentesche contestano alle radici, minandone la dimensione rappresentativa e sostanzialista dell’uomo e mostrando il carattere processuale, dinamico e metamorfico delle identità. Ogni “io” è in realtà un “noi”, l’in-dividuo è un dividuo infinitamente scomponibile, la stessa coscienza, come tragicamente rilevato da Nietzsche, è un abisso senza fondo, prodotto da una storia di contrasti fra volontà e potenze. I celeberrimi ritratti di Picasso ne sono un esempio eminente.
I “MetaPortrait” di Vana (Fulvio Vanacore) si inseriscono in questo percorso di frantumazione delle certezze del sensus communis secondo un’ottica innovativa, che risente delle trasformazioni tecniche e culturali del nuovo millennio. Ogni opposizione sfuma, nelle tele dell’artista, entro quella ricerca della totalità che scompone e ricompone ogni forma di dualismo. Macrocosmo e microcosmo si integrano, senza rinunciare, tuttavia, alla differenza, che viene preservata e valorizzata in un’identità composita. Nei “MetaPortrait” figure umane e paesaggi si fondono – spesso ad apparire sono solo paesaggi, naturali e urbani, che raccontano però di tutte le storie umane in essi inscritte, assurgendo per metafora a ritratti antropologici.
Esigenza di oltrepassamento estetico, attenzione alle infinite possibilità del mondo della vita, tensione “romantica” verso la ricerca dell’Altrove: sono questi i principi fondanti della poetica di Vana. Nei “MetaPortrait” la ritrattistica, attraverso la potenza del digitale, altera la realtà per integrarla in una meta-realtà, preludio estetico di un metaverso umanisticamente concepito. L’enigma del cosmo si fa palese, risplende di bellezza senza farsi mai risposta definitiva.
L’oltrepassamento è un gesto di agnizione del nostro sé più intimo, che abita le profondità dell’essere senza mai potersi totalmente afferrare, proprio perché sempre oltre. Ultra, in latino, meta, in greco. Ecco perché tante avanguardie rievocano nella loro stessa poetica tale densità simbolica: il futurismo marinettiano, l’ultraismo spagnolo, la metafisica dechirichiana… più recentemente, il metateismo di Davide Foschi, che proprio in Vana ha uno dei suoi più brillanti esponenti. Oltre le conoscenze stantie, le tecniche artistiche abusate, le scissioni riduzioniste, il metateismo propone il dialogo delle discipline umanistiche e scientifiche in una tensione in cui gli opposti non sfumano in una sintesi irenica e utopistica, piuttosto si potenziano in un contrasto dinamico creativo e vitale, volto alla mitopoiesi della bellezza mediante figure e paesaggi interiori. In tale quadro poetico emerge la potente rivendicazione culturale di Vanacore. «L’arte per me – afferma l’artista – è l’apparente paradosso che fa dell’infinitesimo e dell’infinito la stessa entità, dove l’informazione, in ogni sua declinazione, si rimescola nella forma e nei colori per collassare il tutto nel nulla con un rimbalzo in un nuovo tutto. In questa sua dinamica, l’arte essendo una generazione continua di informazioni, rappresenta un movimento continuo di emersione del significato dal significante, una fuga dell’anima da un corpo materiale e statico e che per tale ragione, portandosi fuori è l’“ex-sistere”, lo stare fuori. Dunque, l’arte è esistenza, il resto è pura materia inorganica che giace per la proliferazione del senso e la sua fuga».
Ecco che in questo contesto l’arte del ritratto viene ricompresa come una possibile forma espressiva della contemporaneità. Ritrarre significa sempre tradurre uno sguardo, una storia, un percorso. Meta-ritrarre significa ricomprendere in questa rappresentazione il passato del soggetto ma anche il suo futuro, con quello slancio profetico che solo l’arte può tentare. I volti divengono così spazi, luoghi, memorie, e i paesaggi significano apparizioni inattese. Nella resa artistica, sembra dirci Vana, quella che apparentemente ci appare una copia della realtà ne diventa l’originale, la matrice del suo tessuto. Lo sapeva bene Goethe: “Non c’è dentro, non c’è fuori: / Poiché il dentro è pure fuori”. Ogni intreccio ha sapore di verità.
– Luca Siniscalco